La Grotta di Sorigalza: un articolo lungo

E’ il 27 luglio 2013. Siamo, ancora una volta davanti al basso ingresso della grotta di Sorigalza in territorio di Cossoine. Il sottoscritto in compagnia dei soliti Corrado Cocco ed Enrico Melis.
Ci si sveglia presto stavolta, poiché si vuole andare lontano. La grotta è già stata parzialmente esplorata e rilevata in passato.  Una serie di uscite nel lontano 1998 avevano spinto  l’esplorazione fino a circa 210 m. dall’ingresso.  Probabilmente per la difficoltà nella progressione e per la selettività di alcune strettoie, anche nella prima parte della cavità, la campagna esplorativa è stata interrotta e la grotta quasi dimenticata. Almeno fino a quest’anno quando la rilettura dell’articolo su quelle prime e uniche esplorazioni, ha riacceso la curiosità in alcuni di noi. Quella di oggi è la quarta uscita  quest'anno nella bella Vallata dell'Alchennero  bagnata dal Rio Androliga.
 

 

Nel corso della prima uscita in compagnia di Mauro Mucedda e Luca Montanaro, datata 26.05.2013, con Enrico siamo avanzati per qualche decina di metri dall’ingresso. Abbiamo superato “agevolmente” le prime due strettoie quindi, nonostante ripetuti tentativi, mi sono arenato contro la terza, un passaggio veramente al limite, tra la parete e una sporgente colata. Enrico nell’occasione è riuscito a passare a fatica ,fermandosi qualche decina di metri dopo in corrispondenza di una condotta bassa, bagnata dall’acqua e riccamente concrezionata. Ciò è bastato per  organizzare una nuova campagna esplorativa animata dal desiderio di poter scrivere  nuove storie sulla grotta, le sue misteriose correnti d'aria e le sue acque perenni.
 
Sono necessarie altre due uscite (01.06.2013 e 08.06.2013) in compagnia di Enrico e stavolta anche Corrado, per allargare il passaggio quel tanto che basta per filtrarvi acrobaticamente. Un lavoro paziente, certosino, ostinato, in posizioni impossibili, nell’acqua e sotto la decisa corrente d’aria.
        
        
Per la prima volta, dal momento della ripresa delle esplorazioni, ci troviamo dall’altra parte tutti insieme. Lentamente percorriamo quelle condotte allagate percorse ben quindici anni prima da Luca Montanaro e Andrea Chessa. Una serie di impegnative strettoie, alternate ad anguste condotte, ove ci si ritrova continuamente a strisciare, parrebbero precluderci la via percorsa a suo tempo dai primi abili e smilzi esploratori, cui va tutta la nostra ammirazione per l’eccellente lavoro portato avanti. Saranno stati pure magri ma son passati per anfratti davvero al limite della percorribilità, che ci costringono, oggi, ad una più accurata disostruzione. Una netta curva a sinistra stretta e minacciosa ha proprio l’aria di volerci fermare, se non fosse per il paziente lavorio di Corrado e del sottoscritto che allargano il passaggio quanto basta per donare ad Enrico il coraggio di fare da apripista. Il giovane filtra lentamente, raggiunge l’agognata sponda e ci richiama all’ordine. Dobbiamo passare anche noi. A fatica lo seguiamo, procedendo per passaggi tortuosi per almeno una ventina di metri  su cui strisciare ancora. Ci femiamo  per stanchezza in corrispondenza del punto otto del vecchio rilievo, di fronte all’ennesima curva a gomito attorno ad un drappeggio di colonne,  stalattiti e stalagmiti. Anche in questo caso Enrico fa da apripista, ma i suoi richiami cadono stavolta nel vuoto ed è costretto a seguirci sulla via del ritorno, dopo aver percorso pochi metri dell’ennesima bassa condotta allagata.

 
 
Ed eccoci ad oggi. E’ proprio il caso di entrare. Enrico indossa una muta da 5mm., io e Corrado abbiam preferito una più comoda 3mm., nuova di pacca, acquistata per l’occasione. Con quel che rimane delle nostre tute speleo entriamo nella grotta per un passaggio discendente che porta subito a contatto con l’acqua,  che appena poco più in là gorgoglia all’esterno muovendo verso il fondovalle.  Percorriamo la stretta galleria iniziale che conduce alla prima strettoia. Si apre tra le concrezioni e si configura come un angolo  di novanta gradi, una curva netta da non sottovalutare e da affrontare in due tempi. Ci si rialza per appena pochi metri, quindi si procede nuovamente su mani e ginocchia  per, subito dopo ritrovarsi a strisciare stretti in passaggi allagati semi sifonanti, da affrontare di taglio e, in ragione della quantità d’acqua, senza casco. Ancora carponi, quindi nuovamente in piedi, in un piccolo e concrezionato ambiente, che consente la visita di alcuni bassi  pertugi superiori.  Una curva nell’acqua attorno alla roccia sporgente ed eccoci davanti alla fatidica strettoia. Un passaggio ostruito per buona parte da una colata, stretto quanto basta per aver paura di dimenticare posizione e spinta necessarie per superarlo, stretto quanto basta per rischiare di divenire tutt’uno con le vicine pareti. La si supera senza pensarci troppo e si arriva in corrispondenza di una bassa condotta allagata. Diciamo che dalla strettoia ci si tuffa praticamente dentro la prosecuzione cercando di indovinarla quasi alla cieca. Da questo momento si striscia e si procede carponi fino a ritrovare la stazione eretta per un brevissimo tratto ove si può riposare. Ancora carponi  per una ventina di metri, ancora un passaggio stretto che ci consente di scavalcare una colata fra le concrezioni (punto quattro del rilievo),  quindi continuiamo ad avanzare, cercando la posizione meno scomoda per progredire nella condotta. Il soffitto si innalza per qualche metro sopra le nostre teste ma bordi di calcite a vari livelli e drappeggi concrezionali precludono la visita di quegli stretti ambienti superiori che comunque parrebbero non promettere niente di particolarmente interessante.

 
 
Si striscia ancora in corrispondenza del punto sei del rilievo in prossimità della ben nota curva a sinistra,  angusta e molto impegnativa ovviamente semi allagata. Per quanto già superata la volta precedente fa sempre discretamente impressione.  Si tratta di scivolare sopra una colata cercando la giusta posizione delle braccia, per poi prestare attenzione a non annaspare in un tratto d’acqua appena più profondo e tirarsi fuori, sempre nello stretto, per passaggi angusti ma meno impegnativi. Ancora curva e controcurva, un serpeggiare continuo nell’acqua, fino alla strettoia che ci aveva fermato la volta precedente, preceduta da stretti e fastidiosi passaggi a causa delle concrezioni, in particolare stalattiti e stalagmiti e alcune colonne che costringono a improvvisare assurdi zig zag.
 
Allarghiamo un poco ancora, il passaggio che già i primi esploratori avevano allargato artificialmente ovviamente a propria misura. Un angusto ambiente subito dopo offre temporaneo ristoro ad una persona per volta, prima di costringerla a procedere per ulteriori passaggi, ovviamente bassi e, come spesso capita da queste parti, quasi al limite della percorribilità. Sono una decina di metri ove mi sento schiacciato e mi ritrovo ad interrogarmi sui perché tra le miriadi di attività praticabili in una vita mi sia legato alla speleologia. Non so più come girare la testa o come trascinare le braccia.  Mi interrogo sulla posizione giusta e rischio di annodarmi in posizioni che ritengo erroneamente più efficienti. Una breve sosta per riprendere fiato quindi via, ancora nel basso e nello stretto, per un'altra decina di metri sempre per condotte molto basse a pelo d’acqua ma meno impegnative. Mi ritrovo quasi d’improvviso in un ambiente più comodo.
Enrico mi precede. Corrado è alle mie spalle.  Ci si può sollevare carponi e “procedere in una galleria meandrizzata larga circa 2mt. e alta a volte anche 10 mt.”  racconta l’articolo. E’ il punto nove del vecchio rilievo. La pianta potrebbe trarre in inganno come la descrizione. La “galleria” potrebbe anche essere larga due metri ma è invasa da concrezioni, crostoni stalagmitici e colate, per cui costringe a continui saliscendi e non si smette, mai troppo a lungo, di strisciare o procedere su gomiti e ginocchia, sebbene bisogna riconoscerlo sono forse i passaggi più comodi della grotta. Il soffitto si alza per almeno sei metri-otto metri ma in alto stringe per cui si è costretti a stare sul livello base o carponi un paio di metri più in alto, oppure a cercare la parvenza di una posizione eretta fra le vicinissime pareti invase dalle onnipresenti sculture di calcite ed acqua.
 
 
 
 
Raggiungiamo il punto dieci del rilievo con il famoso masso al centro della galleria. Un posto finalmente comodo ove possiamo sostare e rifiatare. Buttiamo un’occhiata fugace al meandrino inesplorato, che pare non apportare un reale contributo alla portata del torrente. E’ una frattura piuttosto stretta  presumibilmente da disostruire qualora si avesse l’intenzione di investigarne l’effettiva percorribilità. Noi proseguiamo per il corso principale. L’unica area “percorribile” di questa strana cavità mai troppo stretta da farti dire “è finita”, mai troppo larga da spronarti ad andare avanti con foga. Superiamo l’ultimo caposaldo procedendo per pochi metri ancora in un continuo saliscendi sui vari livelli di concrezioni, ora sul torrente ora appena sopra di esso, fino ad un massiccio concrezionamento. Una grande colata, sovrastata da colonne, stalattiti o stalagmiti d’ogni sorta, sbarra la via se non fosse per un basso passaggio pieno di sottili cannule. Si tratta di decine e decine di cannule che pendono dalla volta liscia e arricchiscono il flusso d’acqua di un copioso stillicidio. Spettacolare.
 
Risaliamo qualche metro, subito nello stretto, cercando una via alta che nell’immediato non c’è. Parrebbe una storia chiusa, onorevolmente chiusa.  Non per noi. Non oggi. Occorre disostruire. Ci pensa Corrado che lentamente e pazientemente apre un passaggio alto tra le concrezioni. Stretto, ma non abbastanza da fermarlo, lo ributta sul torrente per passaggi bassi. Ci chiama invitandoci a seguirlo.
 
 
Noi non ce lo facciamo ripetere. Qui la via non è chiara inizialmente e forse perdiamo qualcosa. E’ un punto nodale, certamente da rivedere. Di fatto imbocchiamo una condotta allagata che parrebbe retrovertere. L’unica al momento percorribile. Si striscia per ancora una decina di metri. Un movimento ormai consueto  che, incredibilmente, ci butta stavolta dentro una saletta, la prima degna di questo nome. E’ Corrado a coglierla per primo e a richiamare con entusiasmo la nostra attenzione.  Non è altro che la base di un suggestivo camino, alto intorno ai dieci-dodici metri dal copioso stillicidio con curiose concrezioni a forma di fungo alla sua base. L’angolo, dopo tanto strisciare, appare incantevole. Curiosamente accatastati in un anfratto della saletta giacciono alcuni masi scuri che parrebbero segnalare la presenza di basalti. Enrico stoicamente torna indietro a recuperare lo zaino abbandonato più in alto prima della disostruzione. Lo accompagno per un tratto. Strisciamo e ristrisciamo quindi pausa pranzo. E’ l’una in punto e siamo quattro ore dentro.  La curiosità è forte. In breve ci lanciamo verso la prosecuzione della condotta in uno slargo occupato da dune di terra e fango che si spalmano su ciò che resta delle nostre tute. A guardarsi bene attorno, ad osservare il correre dell’acqua parrebbe che abbiam preso una diffluenza. Se prima avevamo l’acqua contro, ora l’acqua parrebbe scorrere verso le condotte inesplorate, adesso ci tocca rincorrerla. Potrebbe essere l'aria a confondere la nostra percezione, non aiutata dalla fanghiglia che creiamo smuovendo il greto del torrente non più trasparente. La sensazione, molto forte,  è quella di tornare indietro ma per ambienti sconosciuti.
Una condotta retroverte sinuosamente, riportandomi nell’ambiente principale. Un'altra risale per ambienti impercorribili. Un'altra ancora prosegue frontalmente e ci riporta su bassi passaggi allagati e ventosi. E’ purtroppo questa la via giusta. Strisciamo ancora nell’acqua per pochi metri  per rialzarci alla base di un’evidente frattura, che taglia ortogonalmente la galleria. La si percepisce nitidamente risalendo qualche metro dal livello dell’acqua per depositi fangosi. La frattura, che presenta un grosso masso incastrato proprio al centro, taglia la continuità della roccia come una lama di coltello ed ha un andamento ascendente. Larga mezzo metro e alta almeno una decina. La percorro verso monte e verso valle per pochi metri ma in entrambi i casi stringe in passaggi angusti,  ostruiti dalla nuda roccia o da depositi terrosi. Eventuali disostruzioni in quest’area potrebbero portare, più in alto all'individuazione di possibili nuovi ingressi. La temperatura finalmente gradevole mi fa’ dimenticare l’aria fresca che percorre le condotte allagate sottostanti.
Nel frattempo, poco più in basso, è  ancora una volta Corrado a seguire la forte corrente d’aria. Supera una prima strettoia, resa complicata da un crostone stalagmitico che  a due terzi della corsa restringe la sezione.
Si libera della tuta e passa con la sola muta addosso.  Io provo a seguirlo poco convinto e mi incastro. Decido di non riprovare e resto a distanza di voce. Corrado segue l’aria e, ovviamente, l'acqua, per bassi passaggi, ove compare un abbozzo di eccentriche e svariati spaghetti filiformi,  scivola giusto giusto con le spalle  per una trentina di metri. L’aria è costante. Mi informa del suo incedere. Un alternarsi di brevi svolte e lunghi rettilinei.  Durante il tragitto ha incontrato due angusti ambienti dove potersi girare. E’ già una notizia positiva. Si ferma davanti ad una grata di tre spesse stalattiti che per ora fermano l’esplorazione. Il cunicolo prosegue uguale a se stesso non minaccia di chiudere ne promette grandi ambienti.  Si torna indietro almeno per oggi.

 
Ci riuniamo in quello che permane l’ambiente più ospitale della cavità e ci accingiamo al duro rientro.  Superiamo a ritroso le basse condotte, girando attorno ad alcune piccole stalagmiti. Ci infiliamo in risalita nel passaggio disostruito all’andata più facile del previsto. Più agevole del successivo filtrare fra crostoni calcitici e colonne che cerchiamo di preservare. Ritorniamo quindi sul torrente. Percorriamo la scomoda galleria, sostiamo sul grande masso in corrispondenza della biforcazione inesplorata per poi riprendere la marcia, fino a quando la volta si abbassa definitivamente. Si striscia, ancora un breve slargo da controllare con maggiore attenzione ma senza illusioni  e poi ancora a strisciare, quindi strettoia, una bella curva che lascia lo spazio giusto per le spalle e ti costringe a tirar fuori l’aria per star più tranquillo, segue il cunicolo infangato in un intrico di stalattiti e stalagmiti. Qui prendo in carico lo zaino lasciatomi da Corrado. Sarà un calvario. Breve sosta addossati su delle colate, nuova strettoia da prendere bene, da pianificare, quindi cunicoli, colata da scavalcare, cunicoli, un attimo in piedi e poi di nuovo giù a testa bassa.
Corrado è già fuori quando con Enrico siamo nuovamente alla micidiale strettoia di ingresso, quella che per anni ha bloccato le esplorazioni.  Provo ad affrontarla di testa. Non mi fido torno indietro di qualche metro, l’affronto con i piedi nella stessa posizione dell’andata, praticamente alla cieca e a memoria quasi avessi premuto il rewind su un lettore DVD. Sono fuori.
Gli ultimi metri costellati dalle strettoie iniziali li affrontiamo con calma stando attenti a non sprecare più energie del necessario. Son le 18.00 siamo all'esterno. Stanchi ma soddisfatti.  La giornata ci ricorda che quest’oggi siam scampati al solleone e ci interroghiamo sul perché non abbiamo optato per l’andare al mare.
Bene. Sorigalza resta lì. E’ una grotta tecnica e ben concrezionata. Talmente tanto che occorre fare attenzione a dove si passa e a dove si scivola. Offre anfratti di fatica e grande suggestione.  Non resta che visitarla.  Non c’è fretta ovviamente ma non facciamo passare altri quindici anni. Dobbiamo tornare.
 
 
Antonio Murgia
 
Le foto dell'articolo sono di Enrico Melis. Mitico Enric. Non è per niente facile far foto per quegli ambienti!!!