Il pozzetto

I ripidi versanti della "Scala Su Molente" sono alle nostre spalle. Di fronte a noi si dipanano, ancora una volta, le verdeggianti anse della Codula di Luna.  In questa splendida giornata di marzo la suggestiva cornice  offerta dal canalone calcareo, punteggiato ai vari livelli da cenge boscose, pronunciati terrazzamenti e occhieggianti vuoti, è impreziosita dal tranquillo gorgogliare del torrente.
La recente piena, la prima di una stagione insolitamente avara di precipitazioni  in quest'angolo di Sardegna,  ha perso buona parte del suo vigore.


 

Il torrente dopo aver turbinato e rumoreggiato  nel suo argine di pietra e sempreverdi, dopo aver sradicato e trascinato lungo il suo corso grossi arbusti e trasportato piccoli e grandi massi, dopo aver scosso il letto sabbioso e ciottoloso, gorgoglia  dolcemente tra i massi tondeggianti  che ne costellano il serpeggiare verso il mare.

L'acqua è di un trasparente che ancora una volta rapisce tuta la nostra attenzione,  ma ci impedisce al contempo di saggiarne la reale profondità.

Non vogliamo bagnarci. La temperatura e gradevole ma non abbastanza da consentirci di optare per  un poco salutare bagnetto. Le anse del canalone calcareo si rinnovano,  mostrandosi  sempre nuove, mai uguali a se stesse, anche al frequentatore più assiduo. Il correr del torrente ci fa compagnia  durante il lungo itinerario,  le  sue acque scorrono spesso  chete, talora turbolente specie  in presenza di pur lievi dislivelli  ove il rio da vita a cascatelle e laghetti.

Ci muoviamo con attenzione sopra robusti tronchi o attraverso i ciclopici massi che costeggiano il torrente, spesso su sentieri da ricercare ogni volta e soprattutto da non perdere, più spesso per tracce di sentiero, invase dalla vegetazione o, ancora, attraverso i versanti boscosi di un verde talora fittissimo, nell'intrico di rami e foglie come intessuti dagli onnipresenti rovi.
Guadiamo più volte il corso del rio passando di sponda in sponda, saltellando tra i massi che fan capolino dalle acque limpide e scintilanti ai raggi solari.


Attorno a noi corrono ancora una volta grottoni e riparoni rocciosi, pinnacoli e guglie di pietra, occhieggianti vuoti, altissimi e misteriosi, apparentemente irraggiungibili,  e ancora muri di rovi e grovigli di piante.

 

Siamo finalmente a destinazione. Ci concediamo una lunga sosta, quindi, vestite le tute logore e i caschi polverosi,  ci addentriamo nel sottosuolo.
Ripercorriamo per l'ennesima volta gli angusti ambienti iniziali che ci fanno perdere pochi polverosi metri,  fra grossi massi incastonati, tra i depositi di terra e detriti. Terrapieni e ciottoli di ogni dimensione, accatastati qua e la, fra pareti di frane precarie che si alternano al conglomerato e alla roccia viva,  ci ricordano di uno scavo  "impossibile", uno scavo da ricordare per costanza ed impegno. Uno scavo animato da istinto e fiducia prima ancora che dal correr dietro ad una flebile corrente d'aria.  
Uno scavo come molti altri che, in questi anni, ci hanno consentito  di aprire nuovi ingressi al reticolo sotterraneo  della Codula di Luna, permettendoci di coglierne nuovi angoli nascosti, la Grotta di Su Molente, il Ramo del Bue,  l'Inghiottitoio delle sabbie e altri ingressi ed anfratti , ancora appena abbozzati ma che già promettono  e prefigurano nuove future esplorazioni.  

Uno dopo l'altro siamo dentro. Ad un primo gradone, una sorta di terrapieno, segue un secondo gradone, seguito da un ultima balza di terra e detriti. Qui ci infiliamo nello stretto passaggio in roccia, che ci porta alla prima serie di bassi ambienti che ci confermano che la grotta esiste, e si snoda, per vie talora misteriose, tutt'attorno a noi.
E' percorsa da una lieve corrente d'aria che attraversa ambienti angusti solo in apparenza. Se non ci fossero tonnellate di pietra  nella forma di grossi massi l'uno sull'altro accatastati, in precario equilibrio, ci troveremmo  in un gran bel meandro, alto e largo, certamente percorso nel lontano passato dalla furia di quel torrente, che oggi  vi scorre nei pressi, non molto distante, al punto che mi sorprende la circostanza che l'ambiente, contro ogni mia previsione, è completamente asciutto. Niente torrentelli ma soprattutto niente stillicidio. 
Le pareti tutte attorno son fratturate, tormentate, costellate da pericolosi massi aggettanti.  Ci troviamo costretti a scivolare per ciottoli di granito e per robusti blocchi calcarei. Strisciamo come sospesi su quelle grandi cataste di pietra, stretti contro
l'altrettanto precario soffitto in roccia viva, anch'esso parzialmente scollato a disegnare una volta sinistra, che pare in perenne, precario, equilibrio sopra improvvisate impalcature di robusti tronchi  che in qualche modo riescono a rassicurarci.

Un saltino, sovrastato dagli immancabili ciottoli, consente di accedere ad un tratto più  angusto della diaclasi: siam costretti a strisciare tra lisce pareti con il sospetto che la vera via ci corra accanto, poco distante, più ampia probabilmente  ma stipata di massi che precludono ogni possibilità di percorrenza e occludono ogni possibile altra prosecuzione.
Qualche settimana addietro Roberto e Sergio hanno messo in sicurezza o quantomeno ci  han provato, i tratti più pericolosi
di questi passaggi sotto i massi. E' stato un lavoro lungo ma paziente e il risultato può dirsi buono anche perché ha avuto il merito di
riaprire un'esplorazione che pareva chiusa proprio a causa dell'ostilità dei luoghi che ci troviamo a percorrere.
Una frattura intercetta la nostra diaclasi perpendicolarmente al nostro senso di marcia. Ci costringe a virare ad angolo retto, sempre  nello stretto. Alle nostre spalle la frattura risale le strette pareti,  incrociando altre fratture a loro volta intersecantesi, mentre di fronte il passaggio si apre in una finestrella che si affaccia  su una saletta. Questo passaggio è stato reso meno delicato dalle recenti, citate, operazioni di bonifica,  che hanno consentito di attrezzarlo  con robusti tubi innocenti.
Con Sergio e Corrado vi passammo qualche settimana addietro senza protezione alcuna.  Si trattava di sfuggire alla morsa della grotta
che aveva deciso di spaventarci col suo gioco pirotecnico di frane che ricadono su frane, quasi che cercasse un nuovo equilibrio
incurante della nostra presenza. Ma questa è un'altra storia ed è stata già raccontata con dovizia di particolari. 
Stavolta il passaggio è più sicuro e possiamo affrontarlo con meno patemi d'animo.
Sempre nel corso della precedente uscita, con Sergio e Roberto ci siamo approfonditi nell'ennesimo precario scavo sul fondo
dell'ambiente ,inseguendo l'aria, fermandoci contro passaggi troppo stretti e sotto l'incombente frana.
Nell'occasione abbiamo avuto modo di individuare anche un'alta diaclasi laterale, l'ennesimo arrivo, scomodo, percorso in orizzontale per una decina di metri,  che risaliva  per strettoie tra massi in bilico. Alla sua base accumuli detritici si allargavano
per basse fenditure troppo strette anche solo per ipotizzare possibili prosecuzioni.
La difficoltà di procedere in quegli ambienti, che peraltro parevano retrovertere e approfondirsi in direzione dell'area
sottostante ai passaggi di accesso  alla saletta in cui anche oggi ci troviamo,  ci aveva riportato a spostare i lavori all'inizio della piccola sala, poco oltre il gradino di accesso, a riprendere il lavoro avviato da  Corrado e dallo stesso interrotto causa forza maggiore poche uscite addietro.
Un area di almeno quattro-cinque metri quadri  in cui il pavimento si presenta come la sommità di ciò che appare
un'alta catasta di grossi blocchi. Siamo al vertice di una grande frana nela quale massi di ogni dimensione parrebbero precludere facili progressioni.
Riprendere quel lavoro e provare a pulire un po' il pavimento dell'ambiente è l'obiettivo di quest'ultima uscita che mi
vede in compagnia di Corrado ed Enrico a sondare ancora una volta le intenzioni della grotta.

Tra i grossi blocchi ritroviamo l'aria. Un primo lavoro di pulizia e svuotamento ci lascia intendere che anche per
questa via non sarà facile procedere. Stavolta però la grotta pare lasciarci fare, sonnecchia incurante del nostro operato.
Blocco dopo blocco, pietra dopo pietra, creiamo grosse cataste tutt'attorno, arrivando quasi ad occludere il passaggio
che conduce all'area dello scavo  terminale ove in precedenza si son concentrati i maggiori sforzi. Pian piano riusciamo ad approfondirci stando attenti a non alterare il fragile equilibrio  della frana di accesso.

Tra i massi, si apre uno stretto passaggio. Lanciamo alcune pietre che saltano, cozzano sulla pietra
saltano ancora, ci lasciano supporre un più  deciso approfondimento. Euforici acquistiamo nuova energia e, in breve
riusciamo a far breccia tra due massi enormi,  addossati alla parete di roccia viva, spostandoli quel tanto che basta per metterci dentro la testa. Nero. Ho una gran voglia di esultare  ma conoscendo la Codula  di  Luna e  la grotta penso che possa prendersela, per cui mi ricompongo rapidamente, continuando a ripulire l'area attorno ai grandi massi.
Una grande quantita di detriti precipita rumoreggiando verso il basso e ci conferma che il salto o la sequenza di piccoli
salti, dovrebbe portarci diversi metri più in basso, su un livello inferiore che auspichiamo di più facile percorrenza.
Spostiamo altri grossi blocchi. Provo a dirigere i lavori mentre Corrado da il meglio di se stesso come macchina da disostruzione
ed Enrico filma e documenta tutto impiegando tutti i suoi artifici tecnici. I ragazzi si danno da fare e  ci sanno fare.
Riusciamo ad approfondirci per almeno un metro e a liberare il passaggio da altra terra e dai sassi dalle minori dimensioni.

Corrado lancia una nuova occhiata al vuoto sottostante ed esulta. Mi affaccio anche io, nuovamente, stavolta individuo con chiarezza quello che appare essere un primo gradino quattro metri più in basso, quattro metri di vuoto, sgombro da massi. Il salto è  tra due pareti di roccia viva, l'una liscia come un tavolo da biliardo l'altra appena  più aspra. Il saltino  si arresta su un piano dal pavimento all'apparenza terroso o forse sabbioso, piatto, sgombro.

Un segno quest'ultimo che i detriti che abbiam lanciato verso il basso non son caduti lì ma probabilmente in una piazzuola inferiore
che ancora sfugge alla vista.
Il pozzetto è piuttosto ampio, almeno un paio di metri separano le due pareti, mantiene le dimensioni per tutta la sua sezione
e non pare a prima vista, affrontabile in libera.  
Una volta liberata e messa in sicurezza la sua sommità e aperta una via d'ccesso sicura, occorrerà armare la discesa
che si auspica ben più lunga rispetto a quel primo vuoto sgombro da detriti, che si mostra per la prima volta alla nostra vista.
Verso monte in direzione dei rami d'ingresso parrebbe esserci un passaggio basso,  verso valle, ovvero alle  spalle di chi osservi la finestrella di accesso alla saletta, in direzione del fondo della stessa,  non si riesce a vedere alcunché se non le pareti che parrebbero ulteriormente allontanarsi l'una dall'altra.
Corrado prova a scavare poco più indietro e anche in questo caso si aprono fessure che lasciano rumoreggiare verso il basso pietre piccole e grandi.  Siamo proprio su una frana sospesa.  Non ci sentiamo granché al sicuro per cui decidiamo di rientrare anche perché ormai si è fatto tardi.

Si tratta di un buon risultato. L'ennesimo passo avanti, l'ennesima tappa verso la cerca del collettore e delle sue gallerie. Siamo ancora troppo alti  rispetto al piano di scorrimento e non ancora ben dentro il massiccio, che potrebbe dare adito a qualsivoglia prosecuzione come pure arenarsi di fronte a nuove frane che ci chiamerannoa nuovi sforzi..
La diaclasi parrebbe proseguire proprio sotto la sala in direzione della sua area terminale , ma è presumibile, è quello l'auspicio, che si approfondisca subito dopo il primo gradone, precipitando verso il basso con maggior decisione.
In tal caso si tratterà di metterne in sicurezza la volta e di proteggere a dovere la discesa dagli immancabili detriti.
Un lavoro non facile che speriamo possa portarci lontano.
Scopriamolo insieme.

 Antonio Murgia